LAVAZZA - Storia di successo


Lavazza in prospettiva storica: da Luigi si arriva alla quarta generazione


Una storia che dura da quattro generazioni quella dell’azienda torinese Lavazza, consacrata dal successo e dallo spirito imprenditoriale: un tratto quasi genetico trasmesso nel dna familiare e che negli anni ha portato alla crescita senza arresto di un marchio riconosciuto per la sua qualità in Italia e nel mondo. I passaggi che hanno segnato lo sviluppo del brand dal Piemonte a oltreoceano, li leggiamo da Milano Finanza, nell’articolo di Edoardo De Biasi.


Lavazza fatta di uomini, di donne, di passione


C’è un grande gruppo in Italia dove il potere delle donne è pari se non addirittura superiore a quello degli uomini. Non stiamo parlando di una big internazionale ma molto più semplicemente di una società torinese: Lavazza. La dinastia dei signori italiani del caffè che dura da ben quattro generazioni. Dieci anni fa si è consumata una vera rivoluzione che ha portato le donne della famiglia piemontese ad assumere un ruolo fondamentale nella guida e nella gestione della società.

Un salto epocale su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo sapendo che la governance fino a quel momento prevedeva addirittura una guida esclusivamente maschile.

Lavazza è la tipica storia di una famiglia del Basso Piemonte che spinta dalla povertà è costretta a emigrare nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita. Il fondatore, Luigi, è nato sulle colline del Monferrato nel lontano aprile del 1859 da Battista e da Candida Gonella. Per la precisione a Murisengo, un piccolo comune noto perché nel suo castello Silvio Pellico scrisse la tragedia Francesca da Rimini.

Volendo assicurare all’unico figlio un’esistenza migliore, i genitori lo spinsero a completare gli studi elementari e successivamente gli trovarono un posto come contabile in una fornace della zona. Ma Luigi di lì a poco seguì l’esempio di tanti altri monferrini: prendere la strada dell’emigrazione. Ottenuto dalla locale Società di mutuo soccorso un piccolo prestito di 50 lire si trasferì a Torino. L’inizio non fu facile. Il lavoro per chi veniva dalla campagna era poco e soprattutto di basso livello. Luigi capì che solo un diploma poteva dargli una prospettiva. E così nel tempo libero si dedicò al completamento degli studi. Nel 1894 sposò Emilia Morino, una concittadina di Murisengo che lo aveva seguito a Torino e gli diede nove figli.

Il matrimonio fu uno dei motivi che lo convinse a intraprendere l’attività per cui si sentiva più votato: il commercio. La passione per la vendita gli era nata grazie agli studi ma soprattutto ammirando i negozi che cominciavamo a riempire le vie di una Torino sempre più europea. Grazie ai risparmi e a 10 mila lire prestategli dall’ultimo datore di lavoro, comprò una vecchia drogheria situata all’angolo tra le vie San Tommaso e Barbaroux. Il negozio era in cattive condizioni ma, grazie alla buona posizione e all’entusiasmo di Lavazza, l’attività crebbe rapidamente. L’intuizione di puntare sul caffè si è sviluppata in quegli anni. Va detto che all’epoca la torrefazione non costituiva un’attività particolarmente redditizia ma conferiva popolarità e reputazione a chi la praticava.

Fu così che la clientela rapidamente aumentò e con essa gli incassi del negozio. Gli affari andavano talmente bene che l’attività commerciale si trasformò in società con l’ingresso del cugino, Pericle Franco. Già nel 1900 la piccola azienda vantava un giro d’affari di 4200 lire settimanali e dava lavoro a sei dipendenti. Inoltre alcuni di questi si dedicavano esclusivamente alla tostatura del caffè che era ormai diventato il prodotto simbolo della Lavazza.

La crescita era così veloce che si decise di estendere le vendite al di fuori di Torino e, nel 1910, la sede venne trasferita in locali più ampi situati nella stessa via San Tommaso. Quell’anno segna un’altra tappa fondamentale: nasce la prima miscela Lavazza. Al posto delle singole qualità di caffè utilizzate fino ad allora, l’imprenditore monferrino cominciò a impiegare per la torrefazione miscele da lui stesso realizzate. Il prodotto ottenuto aveva due caratteristiche principali. Sotto il profilo della qualità era più armonico mentre sotto quello commerciale meno influenzato dall’andamento dei singoli raccolti del caffè. Il successo fu immediato.

Alla vigilia del primo conflitto mondiale presso la società lavoravano già una quarantina di dipendenti. Con l’inizio della Grande guerra si aprì una fase di notevoli difficoltà perché i consumi crollarono e cominciò a essere carente sia la materia prima che la manodopera. La ripresa fu segnata da un’ulteriore spinta verso la specializzazione. L’offerta di prodotti diminuì e si concentrò su olio, zucchero e ovviamente caffè torrefatto.


Nel 1923 la Lavazza era già diventata la prima società italiana di lavorazione del caffè


Un primato ottenuto grazie anche al trasferimento in corso Giulio Cesare. Dove fu costruita una nuova sede dotata di macchinari moderni che consentivano di conservare più a lungo l’aroma. Le dimensioni raggiunte dall’azienda e la seconda generazione spinsero Luigi a preparare la sua successione. Nel novembre del 1927 venne costituita la Società anonima Luigi Lavazza, dotata di un capitale di 1,5 milioni di lire suddiviso fra il fondatore, la moglie e i figli maggiori Mario, Giuseppe e Maria (significativa la presenza di due donne).


Un nuovo impulso alla crescita venne, quattro anni dopo, grazie a un’efficace innovazione nel sistema di vendita


Il metodo della «copia commissione» praticato fino ad allora venne sostituito con la «tentata vendita», con cui l’agente, anziché limitarsi a raccogliere le ordinazioni, provvedeva anche alla consegna del prodotto e al relativo incasso. La nuova procedura incontrò l’immediato favore della clientela. La gestione dell’impresa era intanto passata dal fondatore ai due figli maggiori Mario (23 maggio 1899) e Giuseppe (30 marzo 1901). Nel 1933 la compagine azionaria cambiò ancora.

La proprietà delle azioni Lavazza venne trasferita ai figli maschi. Oltre a Mario e Giuseppe si aggiunse Pericle (8 settembre 1908) che nel frattempo aveva conseguito la laurea in medicina. Nel 1936 il richiamo dell’amato Monferrato si fece più forte e Luigi si ritirò a vita privata a Murisengo, lasciando in eredità un’azienda solida.


I primi anni del dopoguerra furono segnati da gravi emergenze. Ripartire non fu facile


Lo stabilimento era stato danneggiato dai bombardamenti e l’Italia era un paese impoverito dove la ripresa di consumi non essenziali rimaneva molto bassa. Bisognava inventarsi qualcosa. Venne sviluppata una novità sul piano commerciale: il caffè cominciò a essere fornito ai rivenditori in confezioni sigillate che recavano il nome e il logo dell’azienda produttrice.

Sono i primi passi di una diversa politica di marketing e la presenza del marchio Lavazza risultò decisiva per assicurare il primato nel mercato nazionale. Quando il fondatore morì, nell’estate del 1949, l’azienda aveva ripreso a correre. La produzione di caffè superava i 15 mila quintali e venne inaugurata la filiale milanese. Prima tappa di una politica espansiva indirizzata alla conquista del mercato italiano. Ma la scelta delle strategie da adottare finì per dividere la famiglia. Il fratello maggiore Mario spingeva per un consolidamento degli affari mentre Giuseppe e Pericle, convinti delle potenzialità del mercato, insistevano per una politica più aggressiva. Il contrasto venne risolto con l’uscita di scena di Mario e la cessione delle sue quote ai fratelli minori. Giuseppe e Pericle, a loro volta, nel febbraio del 1956, sottoscrissero un patto che sanzionava il carattere strettamente familiare della società; impegnandosi a non cedere a terzi le rispettive quote e stabilendo che «al funzionamento dell’azienda sociale potranno prendere esclusivamente parte i discendenti maschi maggiorenni».


Messo al riparo l’assetto proprietario, i due fratelli poterono dedicarsi alla realizzazione di un ambizioso piano di sviluppo


Che aveva come meta finale il passaggio a una dimensione industriale. Nel 1957 entrò così in funzione lo stabilimento di corso Novara. Un edificio di sei piani dove il processo di trasformazione veniva realizzato, per la prima volta in Italia, in senso verticale, a caduta. Nel nuovo impianto, capace di lavorare quotidianamente oltre 400 quintali di caffè, iniziò il confezionamento in lattine sottovuoto spinto. Una preparazione copiata da Oltreoceano che, prolungando la durata del prodotto, consentiva di estendere i confini della distribuzione.


La decisione più importante non fu però questa


Ma quella di sostenere le vendite con un massiccio sforzo pubblicitario e di affidarne la gestione al titolare di una piccola agenzia torinese, Armando Testa, destinato a diventare un protagonista assoluto dell’advertising. Ne derivò un lungo sodalizio che segnò profondamente la Lavazza e la comunicazione pubblicitaria italiana. L’esordio, nel 1958, ebbe per oggetto il caffè Paulista che si affermò grazie ai caroselli televisivi imperniati su personaggi come Caballero e Carmencita.


Nel 1965 Lavazza inaugurò lo stabilimento di Settimo Torinese


E la produzione cominciò a vedere la soglia dei 100 mila quintali. La difesa della leadership diventò l’obiettivo principale. Lavazza dedicò notevoli sforzi (ad esempio l’introduzione della lattina a strappo) per fronteggiare la concorrenza e soprattutto per diffondere il marchio in tutto il Paese. Nel pieno di questa battaglia commerciale Giuseppe morì (1963) e le redini della società passarono a Pericle, affiancato ormai stabilmente dal figlio Alberto e dal nipote Emilio come amministratore delegato. Negli anni 70 i risultati Lavazza ebbero un andamento alterno, legato alla difficile fase economica e sociale attraversata dall’Italia.

Il decremento delle vendite complessive non andò tuttavia a scapito della quota di mercato, preservata e consolidata sia progredendo nella politica di diversificazione dell’offerta, sia incrementando gli investimenti pubblicitari. Alla morte di Pericle (1979), nel rispetto del patto del 1956, la presidenza della società passò a Emilio, affiancato nel ruolo di amministratore delegato dal cugino Alberto.

La terza generazione ha conservato le linee strategiche di quella precedente che si possono sostanzialmente riassumere in tre regole auree: elevata qualità del prodotto, costante rinnovamento dell’offerta, efficacia del messaggio pubblicitario. In questo modo il gruppo non solo ha conservato e rafforzato la leadership ma iniziato la sua espansione all’estero. Emilio, scomparso nel 2010, è stato numero uno della società fino al 2008, anno in cui ha lasciato la presidenza al cugino Alberto.


Nelle scorse settimane è scomparsa sua moglie Maria Teresa Lavazza


Da cui ha avuto due figli, Giuseppe e Francesca. Maria Teresa Rey, così si chiamava da nubile, è stata una donna importante nella famiglia piemontese. Stando accanto, con intelligenza e discrezione per cinquant’ anni a Emilio, ha favorito il ribaltone nella governance Lavazza.

Un cambiamento di regole reso inevitabile dalla parità di genere e dall’allargamento dell’azionariato che ha segnato il passaggio alla quarta generazione. Proprio la morte del presidente onorario ha provocato nel 2010 un’accelerazione nella ridefinizione delle norme che regolavano l’organizzazione societaria dei due rami della famiglia. Una rivoluzione che ha messo fine al patto firmato nel 1956 e ha portato al vertice le donne di famiglia.

L’organigramma di Finlav, l’holding che controlla la maggioranza della Luigi Lavazza, ha conosciuto un radicale cambiamento. Alberto Lavazza, ultimo esponente della terza generazione nonché attuale presidente della multinazionale, e Giuseppe Lavazza, figlio di Emilio, si sono dimessi dal vertice della finanziaria. Antonella, figlia di Alberto, è stata nominata numero uno mentre il ruolo di amministratore delegato è andato alla cugina Francesca.


Per la prima volta nella storia della dinastia monferrina le donne hanno conquistato le posizioni di comando nella holding del gruppo


Finlav è controllata, con quote paritetiche, dalla accomandita di Alberto Lavazza e figli (Antonella, Marco e Manuela) e dalla cassaforte degli eredi (Giuseppe e Francesca) di Emilio Lavazza. Un ruolo di cerniera tra le due casseforti è affidato ad Ago. Si tratta di una società semplice costituita nel 1989 tra Alberto ed Emilio Lavazza. Ago ha come soci d’opera alcuni professionisti tra cui Franzo Grande Stevens e possiede due azioni Finlav. Attualmente la quarta generazione si è insediata, oltre che nella finanziaria di controllo, anche nel consiglio della capogruppo: Giuseppe e Marco sono vicepresidenti mentre Francesca, Antonella e Manuela sono consiglieri.

Per segnare ulteriormente il cambio di passo il board è stato aperto ad alcuni membri indipendenti (Pietro Boroli, Gabriele Galateri di Genola, Robert Kunze-Concewitz e Antonio Marcegaglia) e Antonio Baravalle, un manager esterno che non faceva parte della famiglia, è diventato amministratore delegato. Al nuovo ceo, che ha preso il posto di Gaetano Mele, è toccato il compito di portare avanti il progetto di espansione internazionale.


Baravalle è un manager che si è fatto le ossa alla dura scuola di Sergio Marchionne


Quando il ceo con il maglione arrivò in Fiat, Baravalle aveva circa quarant’anni ed era il direttore marketing di Alfa Romeo. «Marchionne, ha detto Baravalle, capì che l’azienda era ricchissima di competenze a tutti i livelli ma che era soffocata dalla burocrazia: lavorò per liberare entropia positiva e, rischiando, mise ai vertici del gruppo dei quarantenni». Nacque così il mito dei Marchionne Boys: Luca De Meo, Alfredo Altavilla, Olivier François e appunto Baravalle che diventò amministratore delegato di Alfa Romeo. «Mi fece due colloqui di due ore ciascuno. Volle sapere tutto. Alla fine mi disse: l’ho scelta, lei viene con me. Amava ripetere che le competenze si trovano sul mercato, la leadership no». Una leadership che Baravalle ha messo nella conduzione della Lavazza. Nel 2019 i ricavi consolidati di Lavazza sono pari a 2,2 miliardi. In aumento del 18%, con il 70% del fatturato realizzato all’estero. La crescita è riconducibile all’integrazione di Lavazza Professional ma anche allo sviluppo a doppia cifra in Nord America (15,2%), Nord Europa (13%) ed Europa dell’Est (23%). L’ebidta è stato pari a 290,6 milioni, in aumento del 47%, mentre l’utile netto ha superato 127 milioni.

Unitamente ai buoni risultati economico-finanziari, è salita al 38° posto tra le 100 marche più reputate al mondo secondo il Global Rep Track.


L’era Baravalle è contrassegnata dall’espansione all’estero


Nel giugno 2015 Lavazza ha acquistato la danese Merrild. Neanche un anno dopo è stata comprata per circa 700 milioni Carte Noire, società leader in Francia.

«L’acquisizione di Carte Noire da parte di Lavazza ha unito due aziende simili per storia, per livello di immagine e cultura della qualità», ha commentato all’epoca Baravalle. Nel maggio 2017 è stato poi annunciato l’ingresso nel capitale di Kicking Horse Coffee. Questa operazione ha rappresentato un passo fondamentale nella strategia di sviluppo in un mercato chiave come il Nordamerica. Passati pochi mesi è stata rilevata Nims, azienda padovana specializzata nella distribuzione e nella vendita diretta di macchine da caffè, capsule e cialde.


L’ultima operazione


È avvenuta agli inizi di quest’ anno. Attraverso Torino 1895 investimenti, controllata Finlav, è stato acquistato il 17,7% di Ivs Group, azienda leader italiana e secondo operatore in Europa nella gestione di distributori automatici e semiautomatici per bevande e snack. Per Lavazza (tra l’altro azionista importante del family office Tosetti value) si è trattato di un blitz in Borsa che ha risollevato l’annosa questione di una possibile quotazione. Ipotesi che però non trova conferma.

«La società non ha piani per una quotazione, dicono a Torino, e si concentrerà sempre più sulla crescita organica e sull’integrazione delle società del gruppo». Una decisione che fa capire come il caffè resterà per molto tempo un simbolo dell’imprenditoria e della cultura italiana nel mondo. Sotto la bandiera Lavazza.